La contrattazione collettiva dopo l’accordo del 28 giugno 2011
La contrattazione collettiva dopo l’accordo del 28 giugno 2011

L’Accordo Interconfederale (AI) del 28 giugno 2011 rappresenta un’intesa molto importante che si propone di ridisegnare il sistema della contrattazione collettiva e di ridefinire regole condivise tra i principali protagonisti dell’ordinamento intersindacale.

Di Valerio Speziale per www.nelmerito.com

La ricomposizione delle tre maggiori confederazioni sindacali è un fatto certamente positivo, perché la divisione indebolisce in primo luogo i lavoratori. E non è un caso che, anche dopo gli accordi separati del 2009, in molti settori produttivi sono stati sottoscritti contratti unitari anche con la partecipazione della Cgil, perché questo sindacato e gli altri non avevano forze sufficienti per negoziare separatamente con le associazioni imprenditoriali. D’altra parte l’esclusione dal sistema contrattuale di un’organizzazione così importante come la Cgil (spesso maggioritaria) determinava difficili problemi di gestione del sistema delle relazioni industriali, creando tensioni e potenziali conflitti (con ricadute anche giudiziarie) che aumentavano le instabilità e le incertezze.

L’AI non definisce aspetti importanti che saranno regolati da future intese tra Cgil, Cisl e Uil, che potrebbero dare al sistema contrattuale contenuti molto diversi. Il che impone di giudicare con cautela il testo sottoscritto il 28 giugno.

Il sistema contrattuale è articolato in due livelli, nazionale e aziendale, trascurando completamente quello territoriale (molto importante in alcuni settori e l’unico esistente in altri). Il C.C.N.L. mantiene la funzione di assicurare la regolamentazione uniforme delle condizioni economiche e normative e non è fungibile con il contratto di secondo livello (come volevano parte della Confindustria ed alcuni giuristi). Il contratto decentrato può disciplinare soltanto le materie delegate dal C.C.N.L. ed ha la funzione primaria di remunerare gli incrementi di produttività e di redditività aziendale. Anche le deroghe al contratto di categoria potranno essere effettuate soltanto "nei limiti e con le procedure” da esso previste. A prima vista sembrerebbe che il contratto nazionale conserva la sua centralità e supremazia. Tuttavia molto dipenderà dalle deleghe al contratto aziendale che potrebbe avere competenze molto estese, anche perché l’AI intende sviluppare la contrattazione decentrata. La volontà delle parti, peraltro, non sembra essere quella di voler "rovesciare" il rapporto tra i livelli contrattuali ma solo di ampliare le competenze dei contratti aziendali.

La previsione di una soglia minima del 5% (da calcolare come media tra deleghe e voti conseguiti nelle rsu) è un’assoluta novità che seleziona i soggetti legittimati a negoziare a livello di categoria e dovrebbe evitare, secondo la Cgil, accordi separati. In realtà l’AI non contiene alcuna regola, come nel lavoro pubblico, che garantisca l’esistenza di un unico contratto e potrebbero esservi ancora intese non unitarie. Tuttavia, la verifica della reale rappresentatività di un sindacato prima della stipula dovrebbe evitare che possano siglarsi accordi contro la volontà della (o delle) organizzazioni maggioritarie. Questi contratti sarebbero difficili da gestire e comunque privi di effettività. Inoltre, nella intesa tra Cgil, Cisl e Uil, si demanda ai sindacati di categoria la possibilità di regolare il dissenso tra i sindacati nei contenuti del contratto, con coinvolgimento dei lavoratori e verifica del consenso. In questa sede si potrebbe quindi definire un meccanismo di risoluzione dei conflitti interni che escluda la stipula di accordi separati.

Il contratto aziendale acquista un ruolo centrale, con la possibilità di derogare anche in senso peggiorativo al C.C.N.L., in coerenza con quanto già previsto negli accordi separati del 2009. La Cgil accetta dunque un principio che in precedenza aveva fortemente contrastato. In realtà questo sindacato da tempo sottoscrive a livello aziendale accordi derogativi di quelli nazionali, soprattutto nelle ipotesi di crisi di impresa ma anche quando vi è la necessità di incrementare la competitività dell’azienda o di attrarre investimenti. La giurisprudenza d’altra parte, seppure in modo non uniforme, ammette che l’intesa decentrata possa peggiorare gli standards contenuti nel contratto nazionale. Questi elementi e la stessa prassi seguita dalla Cgil in molte situazioni certamente non giustificavano l’opposizione così radicale di questa organizzazione rispetto alle "clausole di uscita".

Senza dubbio queste clausole pongono rilevanti problemi, perché consentono deroghe contrattate da un sindacato che a livello aziendale potrebbe essere molto più debole e soggetto a pressioni a cui è difficile resistere (come ad esempio la minaccia di licenziamenti o di delocalizzazioni). D’altra parte la diffusione anche in altri paesi europei delle deroghe aziendali è una conseguenza della internazionalizzazione dei mercati che, in molti casi e per essere competitivi, rende necessario "personalizzare" la disciplina dei rapporti di lavoro rispetto a quella più uniforme prevista dal ccnl. Oppure spinge le imprese meno dinamiche ed innovative ad applicare standard lavorativi inferiori a quelli medi per continuare ad esistere: una condizione questa che potrebbe enfatizzare la debolezza contrattuale delle organizzazioni sindacali ed effettivamente determinare, in un contesto di piccole e medie imprese, un netto peggioramento delle condizioni di lavoro. In questa situazione, dunque, la contrattazione aziendale può svolgere ruoli assai diversi – potenzialmente anche molto negativi – a seconda dei poteri ad essa attribuiti.

L’AI prevede che, in generale, saranno i contratti di categoria a definire i limiti e le procedure delle deroghe peggiorative aziendali. Tutto, dunque, è rimesso alla futura regolamentazione. Le esperienze già realizzate in base agli accordi separati (ad esempio nel settore meccanico) prevedono limiti per materie e la necessità di una “convalida” delle clausole peggiorative da parte del sindacato di categoria. In realtà la necessità di un’approvazione espressa o tacita delle clausole non garantisce certo una maggiore forza contrattuale al sindacato in azienda né consente un efficace controllo, perché nella maggior parte dei casi le organizzazioni di livello superiore non potranno che limitarsi ad approvare le deroghe, in quanto gli interessi in gioco (quando sono coinvolti occupazione e reddito) sono tali da impedire eventuali dinieghi. L’unico vero meccanismo di controllo, che può impedire alla contrattazione aziendale di svuotare sistematicamente il contenuto del ccnl, è l’introduzione di limiti sulle materie derogabili. In questo ambito l’art. 4 bis del ccnl separato (introdotto il 29 settembre 2010) è un esempio di ciò che potrebbe accadere in futuro, dove di fatto si attribuisce alla contrattazione aziendale, in situazioni di crisi o per consentire nuovi investimenti, un potere di  deroga pressoché totale (soprattutto per quanto attiene alla organizzazione del lavoro), con esclusione soltanto dei minimi tabellari, degli aumenti periodici di anzianità e dell’elemento perequativo. Inoltre l’intesa del 28 giugno prevede un regime transitorio (applicabile in mancanza di disciplina del ccnl) che attribuisce la possibilità di deroghe peggiorative in relazione alle prestazioni lavorative, agli orari ed alla organizzazione del lavoro, con una formulazione così ampia da poter ricomprendere tutti gli istituti del rapporto individuale di lavoro.
Soltanto la dinamica concreta della contrattazione di categoria potrà rivelare se la centralità del ccnl, che è riaffermata dall’AI, sarà effettivamente realizzata o se di fatto le competenze della contrattazione aziendale saranno così estese da ridurre il contratto di categoria a strumento di regolazione dei rapporti di lavoro nei casi in cui manchi l’accordo di II livello. Un’ipotesi, quest’ultima, tale da minacciare la funzione stessa del ccnl.

L’AI regola altri aspetti essenziali del sistema contrattuale che richiederebbero un’analisi approfondita che non è qui possibile fare. In considerazione del limitato pluralismo sindacale nel settore industriale e nel terziario, l’accordo siglato dai tre sindacati più importanti con la Confindustria e soprattutto l’intesa interna tra Cgil-Cisl-Uil finalizzata regolare le ipotesi di dissenso sul contenuto degli accordi dovrebbero essere in grado di rendere il sistema gestibile anche in assenza di una legge. Tuttavia l’apertura alla contrattazione aziendale potrebbe avere sviluppi tali da modificare radicalmente il sistema, trasformando il contratto di II livello nel vero e proprio fulcro del sistema contrattuale ed attribuendo al C.C.N.L una funzione assai meno importante. Una situazione questa che, soprattutto nelle imprese di piccole e medie dimensioni, potrebbe tradursi in una riduzione delle tutele dei lavoratori.

Di Valerio Speziale per www.nelmerito.com

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