La conciliazione dei tempi di vita e lavoro fa bene alle aziende
La conciliazione dei tempi di vita e lavoro fa bene alle aziende

Il 55% delle imprese registra un miglioramento nel rendimento. Aumentano soddisfazione (37%) e senso di appartenenza (24%), mentre scende l’assenteismo (29%).

Attuare politiche di bilanciamento dei tempi di vita e lavoro fa bene all’azienda. Lo rivela la ricerca "People first!", promossa dalla fondazione I-Csr e presentata questa mattina a Roma nel corso del convegno "Flessibilità&Produttività". Secondo lo studio oltre la metà (55%) delle aziende interpellate identifica nelle buone prassi di conciliazione un miglioramento nel rendimento delle proprie attività. Un dato ancor più significativo se si considera che sono soprattutto le piccole e medie imprese a rilevare questo vantaggio. In particolare il 39% registra un forte miglioramento del clima interno, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra collaboratori e tra dipendenti e dirigenti. Ad aumentare è anche la soddisfazione e la motivazione dei lavoratori (37%) e il senso di appartenenza all’azienda (24%), mentre scende l’assenteismo (29%). Le aziende, in particolare le pmi, ritengono inoltre che tali buone prassi aiutino a trattenere i migliori talenti e a sviluppare le competenze (11%), migliorando anche l’immagine dell’impresa (16%). Tra gli aspetti positivi anche il clima "family friendly" che si ripercuote anche nei contesti familiari di appartenenza. 

La conciliazione "carta vincente" per lavoratori e aziende. "Quello che emerge è una situazione win-win, che crea, cioè, vantaggi sia al lavoratore che al datore di lavoro- spiega Giovanna Bottani, project manager della fondazione I-Csr-. Abbiamo analizzato 30 best place to work in Italia e parlato con 45 aziende. Chi mette in pratica questo tipo di iniziative sono nel 78% dei casi i soggetti privati, ma anche le pubbliche amministrazioni cominciano a dimostrare innovazioni in questo senso". Possibili criticità nelle iniziative di conciliazione, secondo Bottani non ce ne sono. "In nessun caso ci sono stati risultati o risposte negative-sottolinea-. Alla fine tutte le aziende hanno riscontrato vantaggi sostanziali. Le uniche difficoltà sono di carattere organizzativo, o legate alle spese che l’azienda deve sostenere dal punto di vista della formazione. Ma- aggiunge Bottani- spesso sussistono anche retaggi culturali o forme di ostruzionismo legate a un management obsoleto". Dalla ricerca emerge, inoltre, che è più premiante una cultura dell’attenzione che una politica strutturata. "È più importante- conclude -dimostrare sensibilità verso un dipendente che costruire infrastrutture che non portano vantaggi oggettivi". 

La consigliera di Parità: "Insufficiente la valutazione del capitale umano". Alla giornata di studio era presente anche la consigliera nazionale di Parità, Alessandra Servidori, che ha ricordato come il Governo stia lavorando per individuare strumenti aziendali per la prevenzione dell’ incidentalità sul lavoro in un’ ottica di genere. "La flessibilità ha smesso di essere considerata un tabù, ma rimane tuttavia insufficiente il livello complessivo di valutazione del capitale umano- afferma-. Abbiamo un corpus normativo sovrabbondante che spesso rallenta le innovazioni nel mondo del lavoro, è importante, invece, questa complessità affrontata a gamba tesa dal ministro Sacconi, anche con l’avviso comune del 7 marzo. La vera sfida da cogliere oggi, è quella di una riforma organica dello statuto dei lavoratori, incentrato sulla saldatura tra scuola e lavoro". 

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