Ripensare l’economia globale
Ripensare l’economia globale

Ripensare l’economia globale all’insegna della cooperazione, di Amartya Sen. Il futuro dello sviluppo sostenibile dipende dalla cooperazione. La crisi del 2008 ha mostrato i limiti del capitalismo odierno e il 2009 si prospetta come un anno ancor peggiore.

 

Ripensare l’economia globale all’insegna della cooperazione.

Il futuro dello sviluppo sostenibile dipende dalla cooperazione. La crisi del 2008 ha mostrato i limiti del capitalismo odierno e il 2009 si prospetta come un anno ancor peggiore.

Molti economisti hanno sottolineato l’esigenza di passare a un "nuovo capitalismo" per fronteggiare lo scenario attuale.

Ma cos’è esattamente il capitalismo? E perché la transizione verso un nuovo sistema deve necessariamente portare a una versione rinnovata della vecchia struttura istituzionale e non a qualcosa di completamente diverso? Adam Smith è considerato come uno dei "teorici del capitalismo". In realtà, non ha mai usato il termine capitalismo, ma ha parlato spesso di un sistema basato sul l’economia di mercato, sui diritti di proprietà e sul principio della competizione. Gli stessi teorici del capitalismo, Smith incluso, hanno riconosciuto molto chiaramente i limiti di un sistema di mercato basato esclusivamente sulla proprietà privata. Il successo dell’economia, osserva Smith, dipende da determinate condizioni politiche e sociali e i mercati non possono funzionare in maniera efficiente senza un sistema integrato di istituzioni esterne e valori estesi, in cui gli operatori possano avere fiducia gli uni negli altri. Non possono esserci transazioni senza la fiducia; non può esserci un sistema imprenditoriale in costante evoluzione senza istituti di credito, di sostegno sociale e di formazione.

Per determinare la strada da intraprendere in futuro, occorre anzitutto riconoscere che la cooperazione ha avuto un ruolo fondamentale nei passati successi delle economie di mercato. La competizione pura non può generare fiducia e gli eccessi del "guadagno a tutti i costi" sono controproducenti. Lo stesso Smith mette in guardia contro i "prodigals" e i "projectors" che rovinano la stabilità dell’economia nella loro ricerca spasmodica di rapidi profitti. Negli ultimi anni, proprio quando c’era un maggiore bisogno di regolamentazione (soprattutto per via dello sviluppo di mercati secondari come quello dei derivati in un periodo di facile accesso credito), lo Stato ha allentato il proprio ruolo di supervisione dei mercati. È successo negli Usa e ciò ha contribuito in larga parte alla crisi.

 

Lo scenario attuale può tuttavia rappresentare una grande opportunità per ripensare l’economia globale, non già all’insegna di un "new capitalism" puro, ma di un sistema che lasci spazio alla cooperazione basata sulla fiducia senza compromettere l’efficienza dei mercati. È importante compiere dei passi avanti verso uno sviluppo economico che sia realmente sostenibile, tanto a livello sociale che ambientale. Bisognerà valutare accuratamente il nuovo modello economico, senza dipendere da vecchi preconcetti che vedono la competizione come unica forza motrice delle attività umane.

Ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare lo sviluppo sostenibile è una democrazia globale, intesa non come un unico Stato mondiale – prospettiva impensabile nell’immediato futuro – ma come un sistema che consenta il dialogo e la partecipazione tra i popoli di tutto il mondo. Esistono già alcuni elementi di democrazia globale, come le Nazioni Unite e le NGOs. Il funzionamento di questi organismi è limitato da alcuni elementi disfunzionali, che potranno essere corretti nell’ottica del principio di cooperazione. Anche il movimento per i diritti umani e le azioni di alcuni attivisti vanno in questa direzione. Ma un singolo organismo o un gruppo di istituzioni non possono operare il cambiamento di cui abbiamo bisogno.

Bisogna rafforzare i principi della cooperazione, secondo i modelli democratici già prospettati da John Stuart Mill e altri. Dobbiamo far sì che tutti possano partecipare a questo dialogo internazionale e che chi ne ha più bisogno e coloro che si sentono abbandonati e umiliati possano far sentire la propria voce. Così facendo andremo anche verso un mondo più sicuro, perché sono proprio le ingiustizie e le ineguaglianze nel mondo a costituire terreno fertile per il reclutamento di seguaci a opera delle organizzazioni terroristiche. Questa sarebbe una ragione sufficiente, ma possiamo aspettarci dei benefici ulteriori dalla cooperazione in termini di agevolazione dei processi di pace e di collaborazione produttiva nel mondo. La cooperazione è sia una grande visione sia un solido sistema per portare avanti questa visione.

* Premio Nobel per l’Economia 1998

 

Testo raccolto da Andrea Curiat in occasione delle Giornate dell’economia cooperativa 2009 promosse da Legacoop, svoltesi a Milano, nella sede del Sole 24 Ore

 

CHI È AMARTYA SEN

Premio Nobel nel ’98

Amartya Sen, il teorico della uguaglianza, è nato in India nel 1933, nel Patha Bhavana di Santiniketan, il campus-college fondato dal Nobel per la letteratura Rabindranath Tagore. Figlio di un professore di chimica, con una nonna insegnante di sanscrito e cultura medioevale indiana, ha trascorso la vita tra un ateneo e l’altro, come studente prima e come docente poi, da Calcutta a Cambridge, da Dehli a Oxford e Harvard, passando per la London school of economics. Testimone della settarizzazione della società indiana nella metà degli anni 40 tra comunità sikh, hindu e musulmane, Sen ha dedicato le ricerche allo studio del rapporto tra disuguaglianze, libertà e diritti umani. Ha elaborato metodologie di prevenzione delle carestie, sviluppato un indice di povertà e proposto una visione economica che supera i presupposti di Keynes e Pareto; successi che gli sono valsi il Nobel per l’economia nel ’98. (An. Cu.)

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