Per un uso non sessista della lingua italiana
Per un uso non sessista della lingua italiana

Quando nel 1986 Alma Sabatini pubblicò le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, l’opuscolo venne accolto da una raffica di lazzi e frizzi.

Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, di Luciana Tufani 
Quando nel 1986 Alma Sabatini pubblicò le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, l’opuscolo venne accolto da una raffica di lazzi e frizzi. Quelle che, fatte proprie dalla Commissione nazionale alle pari opportunità, erano delle indicazioni su cui riflettere vennero recepite come un’imposizione e come un intollerabile attentato alla lingua italiana. Gli sghignazzi su termini considerati ridicoli solo perché non usati comunemente benché perfettamente corretti linguisticamente si sprecarono. Le “Raccomandazioni” e il successivo libro del 1987 di Alma Sabatini, “Il sessismo nella lingua italiana”, erano già allora il frutto di numerose analisi sul linguaggio condotte da studiose di vari paesi – esemplare per l’Italia quella di Patrizia Violi, “L’infinito singolare” – da cui venivano ricavate indicazioni pratiche che si invitava a seguire.

Da allora sono passati più di vent’anni ma poco è cambiato e le indicazioni sono state recepite e fatte proprie solo in alcuni ambienti, come ad esempio da qualche quotidiano o amministrazione comunale, ma nella generalità delle istituzioni pubbliche il neutro-maschile impera tenacemente e quasi non esistono documenti ufficiali in cui sia indicata la differenza di genere. Che si vada alla posta, in banca, all’ASL o in un ufficio qualsiasi ci si trova a dover compilare moduli in cui “il sottoscritto” può risultare unicamente “il” cliente, correntista, paziente, delegante ecc. oppure “il direttore”, “l’amministratore”, mentre in biblioteca o in internet possiamo fare ricerche unicamente per “autore”, “traduttore”, “curatore”.

In altre lingue le forme di cancellazione o di svalutazione del femminile possono essere diverse ma i risultati non cambiano e, a quanto pare, poco è cambiato anche nell’uso se l’Unione Europea ha ritenuto opportuno stilare un regolamento comunitario che dia indicazioni in merito a come formulare i documenti ufficiali. Questo non vuol dire limitare la libertà di espressione ma, in qualche caso, far rispettare alcune regole di grammatica o delle elementari norme di buona creanza. Conoscendo la cautela dell’UE, dubito che le direttive siano dittatoriali e tanto meno rivoluzionarie ma come tali sono state vissute e hanno dato luogo a reazioni scomposte.

Tra queste dispiace dovere annoverare quelle comparse domenica 22 marzo nell’inserto Domenica del Sole24ore. Per un inserto culturale serio e di buon livello, pubblicare un intervento come quello a firma Diego Marani, è stata un’incredibile caduta di stile. L’intenzione si presume fosse quella di scrivere un pezzo spiritoso ma il risultato è invece all’altezza della prosa di un rappresentate della lega. Non consono, poi, all’abituale accuratezza pubblicare, dandogli inoltre un eccessivo rilievo, quello di Giuseppe Scaraffia, scritto evidentemente su commissione e di fretta, senza conoscere i termini del contendere od essersi abbastanza documentato, perché, a meno che alla CEE non lavorino persone che nulla sanno sugli Women’s Studies o che li abbiano completamente travisati, non si tratta di “cancellare le differenze di genere” e quindi discettare su una Madame Bovary uomo non è pertinente.
Tornando all’articoletto di Diego Marani, non so se Diego Marani sia signore o signorino e quindi non so se lo si possa definire uno zitello, ma acido lo è sicuramente. Acidità scatenata, e qui mi improvviso psicologa della domenica, da un irrisolto conflitto adolescenziale con una qualche insegnante da cui si è ritenuto ingiustamente svalutato e che rimpiange di non potere qualificare da vecchia zitella, con tanto di corredo di acidità e nei pelosi. Non so che mestiere faccia ora il signore, o signorino, Marani ma certo non avere licenza di ricorrere alla stessa forma di apprezzamento nei confronti di colleghe o datrici di lavoro verso le quali ha qualche conto in sospeso deve costargli molto. Il nostro credo si ritenga una persona civilizzata perché, presumo, non ha avuto occasione di stuprare qualche donna ma non si rende conto che la volgarità del suo attacco misogino (e, tanto per non scontentare nessuno, anche omofobo) è una forma di violenza sessuale anch’essa.

In questi nostri tempi bui – per tutti e non solo per le donne ma per le donne, come al solito, in modo particolare – della violenza sulle donne ci si ricorda solo per usarla come pretesto per far passare provvedimenti xenofobi e liberticidi. Invece di istituire ronde, sarebbe invece molto più opportuno creare squadre di spazzini che liberino le menti dalla spazzatura che vi si è accumulata , trasformandole in terreno sgombro da pregiudizi pronto ad accogliere un qualche seme di conoscenza e civiltà.

Luciana Tufani

P.S.: Da tempo medito di creare su Facebook un gruppo di pressione per la diffusione del linguaggio di genere, se non l’ho ancora fatto non è solo perché non ne trovo il tempo. Su FB vengono trasformati pari pari termini inglesi in italiano senza tenere conto delle differenze tra le due lingue. Forse i responsabili italiani del sito le ignorano o forse non ne vogliono tenere conto. Già sono indicata come “amministratore” del gruppo Associazione culturale Leggere Donna e di quello del Centro Documentazione Donna di Ferrara, sarebbe ancora più paradossale che per un gruppo come quello sul linguaggio di genere risultassi “il fondatore”.

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