Il welfare del libro bianco: diritti variabili per ciascuno
Il welfare del libro bianco: diritti variabili per ciascuno

Leggendo più approfonditamente il Libro Bianco sul welfare del ministro Sacconi si nota che su alcuni dei temi fondanti del nostro sistema di welfare sono contenute delle radicali modifiche di impostazione. Di Laura Dragosei su www.nelmerito.com.

Il testo è organizzato in sei capitoli con l’aggiunta delle conclusioni finali. Nel primo capitolo viene delineato lo scenario economico attuale e le grandi tendenze dell’economia. Nel  secondo vengono esposti i limiti e le potenzialità del modello sociale italiano. Si fa quindi riferimento alle consuete considerazioni relative alla eccessiva concentrazione della spesa sociale italiana sulle prestazioni pensionistiche, all’invecchiamento demografico e allo squilibrio territoriale. Il terzo capitolo del testo introduce la parte fondante dell’ispirazione di tutto il modello sociale: i “valori”. Tra questi, oltre alla persona, la famiglia, la comunità, la salute e il lavoro trova posto anche, chissà perché, il federalismo. 

Attraverso i valori si articola la nuova concezione dello stato sociale che viene introdotta nel quarto capitolo. Essa prende il nome di “modello delle opportunità e responsabilità”. Nel quinto capitolo segue l’esposizione delle future linee del welfare italiano sotto il titolo di “meriti e bisogni”, che già lascia intravedere a quali valori si dovrebbe ispirare questo nuovo modello sociale. Nel sesto capitolo, prima delle conclusioni, ci si concentra sui problemi di sostenibilità del modello sociale proposto.

La sostanza e l’impostazione del documento non sono granchè mutate rispetto alla precedente versione (Libro Verde). Si riconferma altresì la assoluta mancanza di una sezione informativo-quantitativa sullo stato attuale del sistema di sicurezza sociale, mentre vi si trova, invece, una forte affermazione di principi e valori di riferimento. Il modello di welfare proposto, dunque, parte da zero. 

Quello che viene delineato è un welfare centrato non sui diritti, ma sulle “opportunità”. Tali opportunità saranno da individuare all’interno di un percorso già predefinito entro limiti ben precisi. La così detta “buona vita” degli individui potrà realizzarsi all’interno della famiglia tradizionalmente intesa2, grazie ad un lavoro stabile e, in caso di malattia o altri avventi avversi, anche grazie al sostegno delle coperture assicurative che ciascuno sarà riuscito a garantirsi.
I valori di riferimento cui dovrà ispirarsi il nuovo modello di welfare paiono antiquati e poco adatti a recepire le istanze di un mondo in forte cambiamento. Sarebbe stata forse auspicabile una concezione più moderna e di più ampio respiro, che tenesse conto, ad esempio, degli spunti decisamente innovativi provenienti dal recentissimo rapporto della “Commissione-Stiglitz”. 
In questa sede tuttavia, si preferisce superare la mera valutazione dell’approccio valoriale e della concezione generale di sistema di protezione sociale sottesa al Libro Bianco, per soffermarsi piuttosto sull’aspetto della sostenibilità, e quindi del finanziamento, del nuovo modello di welfare ipotizzato. 

Proprio nella sezione dedicata all’analisi del finanziamento dello stato sociale proposto si presentano dei forti elementi di rottura con l’impostazione tradizionale. Innanzitutto viene proposto il superamento dell’”universalismo assoluto”, tipico dei Paesi dell’Europa continentale, definito puramente utopico di fronte alla effettiva limitatezza delle risorse disponibili. Di contro si richiama ad un “universalismo selettivo” il quale garantirebbe parità dei cittadini nell’accesso alle risorse, imponendo allo stesso tempo i presupposti per la sostenibilità finanziaria e il controllo della qualità dei servizi. Questo in quanto trattasi di un modello che “valorizza la responsabilità degli individui” nonché “la capacità dell’operatore pubblico di stabilire priorità e dosare le risorse” (pagina 39 del documento).

Questo “universalismo selettivo” dovrà essere realizzato in primo luogo attraverso una stretta collaborazione tra diversi livelli di governo (Stato, Regioni ed Enti locali) i quali, tramite il ricorso a specifiche tassazioni e compartecipazioni, riuscirebbero a dosare le risorse in relazione ai costi effettivi di produzione dei servizi. 

Nella nuova concezione del sistema di finanziamento un passaggio fondamentale è costituito dalla sostituzione del rimborso in relazione alla spesa storica, a favore di quello basato sui “costi standard”. Attraverso questo sistema di finanziamento la spesa pubblica si ridurrebbe automaticamente, dal momento che la differenza tra i costi standard – quanto cioè effettivamente costa un servizio gestito in maniera “efficiente”- e quanto invece viene erogato attraverso il meccanismo della spesa storica rappresenta la misura della quota che deve essere “recuperata, in termini di migliore efficienza” (pagina 42 del documento). La parte eccedente, rispetto ai livelli efficienti, rimarrà a carico dell’ente fornitore, che a sua volta potrà coprire l’avanzo attraverso un incremento della pressione fiscale o tramite l’introduzione di compartecipazioni. 
Gli stessi livelli essenziali di assistenza (LEA) andranno ripensati attraverso una dimensione non solo qualitativa, ma anche quantitativa, nel senso che assumeranno il compito di conciliare la sostenibilità, con i diritti dei cittadini e l’adeguatezza dei servizi. I LEA dovrebbero venire a costituire una sorta di benchmarking tra regioni. A questo processo viene attribuita una certa gradualità, dal momento che si riconosce, nel documento, l’esistenza di fortissime disparità tra le diverse realtà regionali. Ciò nonostante, l’obiettivo da realizzare rimane comunque quello di un “federalismo sostenibile responsabile”.

A questo obiettivo concorre però anche un altro strumento implicito rappresentato dalla progressiva creazione di un sistema misto pubblico-privato, sia dal lato dell’offerta dei servizi, che dovrà superare il tipico monopolio pubblico a favore di mercati concorrenziali, sia dal punto di vista del finanziamento, che godrà di un affiancamento tra risorse pubbliche (fiscalità generale, contribuzioni) e risorse private volontarie, di tipo assicurativo (pagina 40). 
La creazione di un “sistema multipilastro” riguarderà soprattutto i settori della previdenza e della sanità, per i quali si ritiene che l’attuale sistema di finanziamento a ripartizione non sarà sufficiente a coprire le necessità future, in vista del crescente invecchiamento della popolazione.  
Per il settore previdenziale  si auspica una “ridefinizione delle fonti di finanziamento” in modo che si possa progressivamente giungere ad una riduzione della contribuzione obbligatoria “a parità di obiettivo in termini di tasso di sostituzione complessivo”, in funzione di una diversa graduazione tra pubblico e privato (quindi contribuzione obbligatoria e volontaria). Tutto ciò coerentemente con un obiettivo di stretta corrispondenza “finanziario-attuariale” tra contributi versati e prestazioni ricevute (pagina 41).

Per la sanità ugualmente si invoca un mix di fonti di finanziamento da reperire attraverso un maggior federalismo fiscale definito “sostenibile e responsabile”, che tenda a “promuovere la responsabilizzazione degli amministratori”, sempre richiamandosi al concetto di spesa efficiente – oltre la quale la copertura andrà trovata attraverso incrementi della pressione fiscale locale o compartecipazioni – e ai costi standard. 

Accanto a questo primo pilastro dovrebbe poi essere sviluppato un altro integrativo a capitalizzazione da dedicare alla assistenza sanitaria e socio-sanitaria (si pensi alla assistenza per i non autosufficienti). Non è chiaro quali sarebbero le prestazioni affidate al secondo pilastro integrativo, né quali i requisiti per accedervi.

Le affermazioni sin qui indicate sono in parte sicuramente condivisibili, dal momento che è a tutti ormai chiara la coesistenza da un lato della inadeguatezza di talune prestazioni pubbliche, dall’altro della insostenibilità del crescente carico di spesa correlato all’invecchiamento della popolazione. Si ritiene però che la via indicata (creazione di un secondo pilastro), mal si concili con le soluzioni proposte dal Libro Bianco per il mercato del lavoro. Non si fa infatti alcun cenno ad ipotesi di riorganizzazione complessiva del nostro mercato del lavoro, magari attraverso la creazione di un’unica forma di contratto, di tipo subordinato con tutele (e contribuzione) dapprima deboli, ma poi crescenti nel tempo, che permetterebbero ai lavoratori giovani una prospettiva di carriere comunque caratterizzate da stabilità. Su questo punto si richiama, invece, nel Libro Bianco, allo “Statuto dei lavori “ipotizzato da Marco Biagi  e a un mercato del lavoro “come un luogo libero ma regolato”. Per intenderci si fa riferimento a una accentuata attenzione “ai meriti e ai bisogni della persona”, da realizzare attraverso un “efficiente sistema di relazioni industriali, più che dalla logica tutta formalistica della norma inderogabile di legge”(pagine 25 e 26). Parole che sembrerebbero aprire ampi margini ad un decentramento della contrattazione addirittura in termini di tutele. 
Dunque un welfare dai confini indefiniti, a cominciare dai diritti, variabili a seconda della propria capacità di contribuzione, per seguire con una elevata variabilità degli standard minimi di servizi e prestazioni garantiti nelle diverse aree del Paese.

www.nelmerito.com

 

 

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